martedì 6 ottobre 2020

Mattéo - Il quinto periodo (settembre 1936-gennaio1939)

Ormai ripresomi dallo choc dello scorso volume, quando ho scoperto che Mattéo non era (più) una quadrilogia, ho potuto valutare più serenamente questo quinto episodio e apprezzarlo per quello che è: un capolavoro. Certo, se sarà veramente un capolavoro lo scopriremo solo quando arriverà la fatidica conclusione, ma per il momento mi pare che sia seriamente avviato su quella strada.

Mattéo, nell’improbabile ruolo di comandate di una brigata di anarchici, è asserragliato nel villaggio dove lo avevamo lasciato lo scorso numero. Qui approfondisce la conoscenza con il riccastro di cui si è impossessato della villa, scoprendo una verità incredibile sul proprio passato e sull’identità di suo padre. Questo volume non è insomma un semplice episodio di raccordo ma vengono rivelate molte cose e si gettano anche le basi per un originale (io almeno non me l’aspettavo) sviluppo futuro.

Ma le vicende personali del protagonista sono solo un elemento microscopico nel gioco della Storia che marcia a tappe forzate verso il 1939. Molto spazio è infatti dedicato alla vita dei combattenti e alle notizie sempre più inquietanti che arrivano dai paesi e dalle città circostanti. Comprimere quasi 30 mesi in 57 pagine può sembrare un’idea peregrina, però Gibrat è riuscito con naturalezza a far percepire lo scorrere del tempo e a evocare le atmosfere giuste a seconda delle stagioni che si susseguivano. Merito sicuramente del suo attento lavoro di documentazione.

Amélie torna in scena, così come inaspettatamente torna pure Robert. A un personaggio bisognerà però dire addio; non solo a uno, in effetti. Come al solito (ma è una cosa che ho percepito di più negli ultimi volumi) la narrazione è condotta con una vigorosa vena ironica che coinvolge ancora di più il lettore. E il sistema con cui Mattéo la farà franca alla fine è geniale nella sua semplicità, forse tratto da uno degli aneddoti a cui Gibrat ammette di aver attinto nei ringraziamenti, anche se fa riferimento a un dettaglio del primo volume ambientato nel 1914.

Graficamente c’è poco da dire: le tavole di Gibrat sono stupende. Certo, gli acquerelli sono meravigliosi e la cura per i dettagli è maniacale, ma una menzione particolare meritano le mani dei suoi personaggi, che “recitano” quanto e più dei volti. Da notare che proprio la mano sinistra di Robert nell’ultima vignetta di pagina 29 è fuggita allo sguardo di Gibrat, che l’ha colorata come se fosse parte del muretto a cui si appoggia.

Sono passati meno di due anni dall’uscita del capitolo precedente, se Gibrat mantiene questo ritmo per me può continuare la saga fino a farla arrivare al 2000 e oltre.

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