Un quarto di secolo fa la Comic
Art aveva mandato in edicola un poker di comic book della linea Vertigo come
tentativo estremo di far fruttare i personaggi dopo che il loro passaggio su
antologici non aveva riscontrato il successo sperato (ricordo che la testata
che li ospitò per ultima passò di colpo da 5.000 a 7.000 lire prima di
chiudere, e per l’epoca non erano pochi soldi). In pratica venivano venduti dei
comic book molto simili agli originali, almeno come struttura: un unico
episodio inframmezzato da pubblicità. Per il resto l’editore mise in atto delle
scelte discutibili: per raccattare qualche lettore in più Sandman portava il contestato sopratitolo «fumetto dark» mentre per
non spaventare troppo qualche altro potenziale lettore il povero Shade non aveva quasi mai le copertine
originali ma ingrandimenti di vignette interne. C’era però di buono il prezzo,
1.200 lire, talmente stracciato che non permise alle collane di durare a lungo
con quella formula portandole a trasformarsi in antologici monotematici con due
episodi e mezzo per numero. E infatti, se non ricordo male, gli ultimi numeri
(a parte quello di Swamp Thing che
aveva anche un episodio celebrativo più lungo) finivano con un episodio
lasciato a metà… Shade era il mio
preferito ed ebbi la fortuna di trovare parecchi comic book originali americani
proprio da quel numero in poi, o subito dopo. Bachalo era ancora un po’ scarno
ma leggibile, non si era ancora dato agli sgorbi che disegna adesso, Peter
Milligan era stato veramente uno scoperta. E poi come mi sentivo intelligente
nel leggere i commenti dei lettori che dicevano di non capire Shade! Insomma, il personaggio ha sempre
avuto un certo ascendente su di me e così ho voluto concedere una possibilità a
questo reboot.
Shade la ragazza cangiante è un’aliena di nome Loma che ha sempre
avuto una passione per Rac Shade e tramite una tresca col custode del museo
delle bizzarrie aliene è riuscita a prendere la sua Veste della Follia e a
impossessarsi di un corpo terrestre, quello di Megan Boyer: una ragazza ormai
morta cerebralmente dopo un “incidente” di qualche mese prima.
A quanto pare la ragazza di cui
si è impossessata era una grande stronza, oltretutto dedita a festini a base di
alcol, droga e sesso (essendo questo un fumetto statunitense, solo i primi due
vengono mostrati). Da qui l’“incidente” per cui è entrata in coma. Il primo
ciclo di sei è una specie di teen drama
che vede tornare Megan/Shade al liceo e cercare di adattarsi alla nuova realtà,
con la scuola e in generale tutto il pianeta Terra visti come una prigione. Frattanto
su Meta, il pianeta di Shade, hanno inizio delle indagini per trovare la Veste
della Follia (e i creatori del progetto originario non sono così innocenti come
vorrebbero sembrare) mentre lo spirito di Megan cerca a sua volta di
rimpossessarsi del suo corpo. La risoluzione di questo primo ciclo mi è
sembrata un pochino affrettata.
Il secondo arco narrativo, sempre
di sei capitoli, si concentra inizialmente sulla Loma “aliena” e sulla sua
difficile vita su Meta, dove i bambini vengono assegnati non ai genitori
biologici ma alle coppie che superano il test di genitorialità, come ci spiegò
a suo tempo Peter Milligan (se già Ditko vi avesse accennato non lo so).
Essendo un essere simil-uccello e tendente quindi alla libertà e al
vagabondaggio, oltre che a impossessarsi degli oggetti luccicanti senza
preoccuparsi di chi sono i proprietari, la sua infanzia e la sua adolescenza
non furono felici nell’irreggimentato pianeta Meta. Anche qui ci sono però
parecchi riferimenti da teen drama (o
comedy, o quello che è), per poi
virare dopo una sequenza forse memore di Carrie
lo Sguardo di Satana in una trasferta a Gotham City! Nessuna apparizione di
Batman, ma in compenso la nascita del desiderio di andare a “salvare” l’attrice
di una sit-com degli anni ’50 che piace tanto a Shade. Questo porterà a un finale
da commedia degli equivoci in salsa aliena (con qualche tragedia e una
comparsata dello Shade originale), ma a quanto pare la serie continua.
Non che Shade la ragazza cangiante sia proprio un brutto fumetto. Cecil
Castellucci ce la mette tutta per scrivere qualcosa di originale e di brillante
ma la mancanza di un percorso chiaro e la necessità di inserire per forza
sequenze psichedeliche poco convinte si fanno sentire: in definitiva la serie è
piuttosto insipida.
I disegni di Marley Zarcone non
sono malaccio, anche se sono molto scarni e la necessità di nascondere i
capezzoli l’ha costretta ad alcune contorsioni nelle anatomie. Ogni tanto
risulta un po’ più incisiva e modulata, quindi più efficace: immagino dipenda
dall’occasionale inchiostrazione di Ande Parks.
Meglio comunque il lavoro di
Marguerite Sauvage nell’unico episodio che ha disegnato e che ha funto da
raccordo tra primo e secondo ciclo.
PS: «Sadie Hawkins» è una
citazione da Li’l Abner o esiste
davvero negli Stati Uniti?