Biopic di un illustre corregionale dell’autore: Ludovico Nicola di Giura fu medico che tra le altre cose assistette il Duca degli Abruzzi Re d’Italia nel corso di una circumnavigazione quasi triennale del globo. Il viaggio che gli cambiò la vita fu però quello in Cina nel 1900 dove rimase per anni imparandone usi, costumi e lingua.
L’aggancio per la narrazione è dato da un consiglio che viene chiesto al medico ormai maturo stabilitosi a Chiaromonte, una vera autorità in paese: un giovanotto locale vuole partire per la favoleggiata America e ciò offre l’occasione al protagonista di ricordare le sue, di partenze.
Visto il taglio documentaristico sarebbe stato facile abbandonarsi allo stile di molti valvolinici, ovvero ridurre il fumetto a illustrazioni accompagnate da didascalie, ma Palumbo vivacizza la narrazione optando per un fraseggio tra le memorie del protagonista (spesso citate testualmente) e il fantasma della sua concubina cinese Fior d’Amore. Ma non mancano sequenze prettamente narrative in cui Palumbo può sfoderare il suo dinamismo e la grande espressività che sa donare ai personaggi. Ottimamente architettato l’anticipo del finale che si ricollega all’inizio, mentre la conclusione vera e propria viene demandata a un parallelo tra gli ultimi istanti di vita del protagonista e un racconto tratto dalla sua opera più importante (o almeno credo: nella nota a piè di pagina viene indicato come autore de Le famose concubine imperiali «Giovanni» di Giura, ma penso sia un errore). E c’è ancora spazio per un po’ di aneddotica veloce post mortem.
Il ritratto di Ludovico Nicola di Giura non è un’agiografia: gli viene riconosciuta la sua umanità, la sua cultura, la dedizione al delicato lavoro di medico, ma Palumbo ne cita anche gli aspetti più prosaici, talvolta anche meschini: dall’abilità nel canto e nel pianoforte alla sua natura di donnaiolo. Né vengono taciute le sue idee politiche.
Oltretutto la sua vicenda si inserisce in quella più ampia dell’impero cinese al suo crepuscolo (fu nientemeno che medico personale dell’Imperatrice Ci Xi), ricostruito con dovizia di particolari basandosi sui suoi stessi resoconti scritti. Molto spazio viene dedicato alla tormentata storia con Fior d’Amore, ragazza che presta servizio nelle sale da tè per pagare i debiti contratti dalla famiglia per il funerale del padre.
A livello grafico Palumbo non delude (ma quando mai ha deluso?). Gli ambienti e i panorami sono ricostruiti con scrupolo, e come dicevo sopra abbondano espressività e dinamismo dove occorre. Scommetto che i colori sono stati fatti col computer (a Massimiliano D’Affronto è stata demandata la «correzione cromatica»), ma l’illusione dell’acquerello e della tempera è perfetta.
Purtroppo come formato e materiali siamo dalle parti del The End di Zep. Ovviamente mi rallegro per Giulio Cesare Cuccolini che non rimarrà abbagliato dalla carta patinata, ma con la Arena Ivory Rough usata da Oblomov tratto e colore perdono un po’ di mordente. Ed essendo la diagonale delle tavole un po’ bassa tocca spalancare per bene il volume(tto) che non è cartonato. E meno male che le pagine sono rilegate. La Sola Cura è stato realizzato con il sostegno di vari enti tra cui la Regione Basilicata.
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