giovedì 29 agosto 2024

Batman/Scooby-Doo!: Spettri e Mantelli

Il mix sembrava abbastanza pacchiano per non darci un’occhiata, per quanto Scooby-Doo vada bene su tutto, e magari ne veniva fuori qualcosa di interessante. E infatti.

Prima storia: Batman presta parte del suo armamentario al museo cittadino per una mostra, ma si accorge che i guanti viola (!) di uno dei suoi primi costumi sono dei falsi sostituiti da qualcuno. Niente di grave se non fosse che Batman ha dei vuoti di memoria proprio relativi ai casi che risolse quando indossava quei guanti. Shaggy, Velma e Scooby-Doo vengono inviati indietro nel tempo (tramite ipnosi e technobabble) per venire a capo della faccenda. Lo sceneggiatore Ivan Cohen è il primo a farsi beffe dei paradossi e delle incongruenze della trama che si risolve in una storia circolare, quindi tanto vale riderci sopra come fa lui. Molto più rilevanti sono le badilate di citazioni che celebrano le storie e il mito stesso di Batman.

Dario Brizuela disegna in maniera schizofrenica: la banda di Scooby-Doo è ritratta in versione cartoon mentre Batman è più realistico. Credo che ai disegnatori sia stato imposto di seguire dei model sheet molto specifici, per questo pose e posture si ripetono con frequenza. Il risultato comunque non è male, anzi.

L’incipit della seconda storia è pretestuoso ma simpatico: la mancanza di un posto nella Mystery Machine dove mettere eventuali trofei dei casi risolti porta Batman e Robin, che hanno aiutato gli altri a risolvere un caso con Joker, a offrire un tour nella batcaverna. Qui però arriverà anche un fantasma o presunto tale. Sholly Fisch confeziona una storia molto carina con un ben progettato McGuffin a sciogliere i nodi. Nulla di eccezionale, ma si legge di gusto anche grazie ai dialoghi frizzanti. Randy Elliott ha il tratto più marcato e pesante rispetto a quello di Brizuela, e in generale mi sembra meno dotato o volenteroso, ma forse semplicemente il suo stile è quello.

L’ultima storia è una celebrazione del cinquantenario del primo team-up tra i personaggi. Scooby-Doo e compagnia scoprono che l’albergo in cui è stato richiesto il loro intervento è sì infestato, ma dai nemici di Batman. Sfilano così un’infinità di villain e Fisch si dedica a un mirabile lavoro di archeologia fumettistica, prestando particolare attenzione ai più ridicoli tra di loro (e ce ne sono parecchi), anche se non disdegna personaggi pressoché contemporanei come una delle assurde new entry di Doomsday Clock. Batman e Robin sarebbero già stati fatti prigionieri, ma il bat-segnale usato all’inizio dai ragazzi torna utile e così la scena si riempie di uno squadrone di “buoni” allestito a sua volta da ogni epoca in spregio alla continuity. Per quanto divertente la vicenda si ridurrebbe a una sequenza di scontri, se non fosse che alla fine viene svelata la vera mente dietro tutto. Ai pennelli (o al pc o alla Cintiq) torna Brizuela. Mi ha lasciato un po’ perplesso come ha disegnato il “naso” della maschera di Batman, ma immagino che sia a sua volta un recupero di una versione filologicamente corretta del personaggio.

Come talvolta capita, le cose più soddisfacenti si trovano nei posti più impensati – e le scarse aspettative iniziali contribuiscono ad apprezzarle.

domenica 25 agosto 2024

La Sola Cura

Biopic di un illustre corregionale dell’autore: Ludovico Nicola di Giura fu medico che tra le altre cose assistette il Duca degli Abruzzi Re d’Italia nel corso di una circumnavigazione quasi triennale del globo. Il viaggio che gli cambiò la vita fu però quello in Cina nel 1900 dove rimase per anni imparandone usi, costumi e lingua.

L’aggancio per la narrazione è dato da un consiglio che viene chiesto al medico ormai maturo stabilitosi a Chiaromonte, una vera autorità in paese: un giovanotto locale vuole partire per la favoleggiata America e ciò offre l’occasione al protagonista di ricordare le sue, di partenze.

Visto il taglio documentaristico sarebbe stato facile abbandonarsi allo stile di molti valvolinici, ovvero ridurre il fumetto a illustrazioni accompagnate da didascalie, ma Palumbo vivacizza la narrazione optando per un fraseggio tra le memorie del protagonista (spesso citate testualmente) e il fantasma della sua concubina cinese Fior d’Amore. Ma non mancano sequenze prettamente narrative in cui Palumbo può sfoderare il suo dinamismo e la grande espressività che sa donare ai personaggi. Ottimamente architettato l’anticipo del finale che si ricollega all’inizio, mentre la conclusione vera e propria viene demandata a un parallelo tra gli ultimi istanti di vita del protagonista e un racconto tratto dalla sua opera più importante (o almeno credo: nella nota a piè di pagina viene indicato come autore de Le famose concubine imperiali «Giovanni» di Giura, ma penso sia un errore). E c’è ancora spazio per un po’ di aneddotica veloce post mortem.

Il ritratto di Ludovico Nicola di Giura non è un’agiografia: gli viene riconosciuta la sua umanità, la sua cultura, la dedizione al delicato lavoro di medico, ma Palumbo ne cita anche gli aspetti più prosaici, talvolta anche meschini: dall’abilità nel canto e nel pianoforte alla sua natura di donnaiolo. Né vengono taciute le sue idee politiche.

Oltretutto la sua vicenda si inserisce in quella più ampia dell’impero cinese al suo crepuscolo (fu nientemeno che medico personale dell’Imperatrice Ci Xi), ricostruito con dovizia di particolari basandosi sui suoi stessi resoconti scritti. Molto spazio viene dedicato alla tormentata storia con Fior d’Amore, ragazza che presta servizio nelle sale da tè per pagare i debiti contratti dalla famiglia per il funerale del padre.

A livello grafico Palumbo non delude (ma quando mai ha deluso?). Gli ambienti e i panorami sono ricostruiti con scrupolo, e come dicevo sopra abbondano espressività e dinamismo dove occorre. Scommetto che i colori sono stati fatti col computer (a Massimiliano D’Affronto è stata demandata la «correzione cromatica»), ma l’illusione dell’acquerello e della tempera è perfetta.

Purtroppo come formato e materiali siamo dalle parti del The End di Zep. Ovviamente mi rallegro per Giulio Cesare Cuccolini che non rimarrà abbagliato dalla carta patinata, ma con la Arena Ivory Rough usata da Oblomov tratto e colore perdono un po’ di mordente. Ed essendo la diagonale delle tavole un po’ bassa tocca spalancare per bene il volume(tto) che non è cartonato. E meno male che le pagine sono rilegate. La Sola Cura è stato realizzato con il sostegno di vari enti tra cui la Regione Basilicata.

giovedì 22 agosto 2024

A Vicious Circle 2

Dopo essersi riallacciato al cliffhanger con cui era terminato lo scorso numero questo volume introduce un lunghissimo flashback in cui vengono svelate abbondanti parti del retroscena. Scopriamo che gli emissari di Shawn non avevano proprio delle intenzioni benefiche nel bloccare la Kang Turing, di cui non volevano distruggere la macchina infernale ma impossessarsene. Inoltre (ma forse questo ero io a non averlo capito) non è che il fattore scatenante dei viaggi nel tempo fosse l’uccisione del suo antagonista Ferris, ma la morte di qualsiasi essere umano: inizialmente Shawn non osava nemmeno fare del male a una mosca per evitare di naufragare in altre epoche, pensando che anche gli animali potessero attivare il fenomeno.

Riprendendo il primo scontro con Ferris vediamo quindi una breve carrellata di lotte ambientate nel futuro, nell’Inghilterra medievale, nella Germania nazista per finire negli States del 1950 da cui (alcuni anni dopo) era cominciata la narrazione. Scopriamo così che le azioni compiute si riverberano nelle altre linee temporali: ucciso Hitler, non ne rimane traccia nel XX secolo.

L’espediente narrativo è quello non proprio originalissimo del protagonista in punto di morte che rivede tutta la sua vita, ma il colpo di scena finale fa tornare tutto in carreggiata e apre a scenari inediti con un apparente cambio di campo.

Anche se più misurato che nel primo volume (ci sono meno “salti”), Lee Bermejo si dedica anche qui a caratterizzare ogni periodo storico con uno stile differente. Uno spettacolo, certo, ma io ho gradito di più le parti meno appariscenti in cui Bermejo dimostra la sua maestria nel tratteggio, come la più canonica sequenza quasi supereroistica colorata da Grant Goleash. Questione di gusti, e qui ce n’è per soddisfarli tutti.

lunedì 19 agosto 2024

Double M 4 - Les Pions de Mr K.

Superato il giro di boa della serie, che conta sei volumi, si intravede la futura impronta più realistica e sexy che caratterizzerà Félix Meynet. Ma la si intravede appena, e questo quarto episodio è ancora marcatamente umoristico, fino al caricaturale laddove necessario.

Gli ingredienti sono quelli consolidati cucinati con la consueta perizia da Pascal Roman: un mistero da risolvere, i due protagonisti che si trovano invischiati per caso, i battibecchi tra Mirabelle e Mel, la ricostruzione delle atmosfere anni ’60, battute sagaci e una sceneggiatura in cui tutto si incastra alla perfezione e dove anche le comparse hanno un ruolo importante e i gesti meno evidenti hanno un effetto risolutivo.

Stavolta ci troviamo nell’Alta Savoia tra Francia e Svizzera (cosa che permette una comparsata di un altro personaggio di Meynet, Fanfoué des Pnottas), dove due agenti sovietici stanno dando la caccia a un uomo e a suo figlio. Ma il “traditore” scappa lasciando in custodia a Mirabelle il piccolo Evguénie, che dal monello qual è ha già avuto modo di fare conoscenza con la giornalista. I due inseguitori sono ben più spietati ed efficienti di altri visti nella serie, d’altra parte sulle loro teste pende la spada di Damocle del temibile Tenente K. Un po’ per fortuna e un po’ grazie alla loro intraprendenza i nostri eroi risolvono la situazione scoprendo non chissà quale complotto da Guerra Fredda ma la “diserzione” di un bambino prodigio esibito dalla propaganda per le sue doti di campione di scacchi. E si scoprirà anche che il Tenente K. altri non è che una sexy agente donna.

Un altro episodio appassionante e divertente nel solco della serie. Buoni come in precedenza anche i colori realizzati da Joëlle Colon subentrata allo stesso Meynet dallo scorso numero.

sabato 17 agosto 2024

Marvel Super Storie 1

La copertina avrebbe dovuto mettermi sull’attenti, ma con la lusinga di alcuni fumettisti indie coinvolti nel progetto pensavo che almeno qualcosa di interessante ci fosse. Ma forse il riferimento a ’sti fumettisti indie me lo sono solo immaginato io.

Dopo un’enfatica introduzione di John Jennings cominciano le danze: Nathan Hale coi colori di Lucy Hale racconta una vacanza dell’Uomo Ragno al Gran Canyon con tanto di zia May al seguito. I pericoli locali e la noncuranza dei visitatori lo costringeranno a del superlavoro, mentre vengono infilate alcune note ecologiste sulla cura del monumento (niente di invasivo). Storiellina carina.

Jerry Craft illustra cosa succede quando Pantera Nera inaugura una biblioteca multiuniversale tra i bigotti statunitensi. Spunto carino, disegni orribili.

Storia particolarmente infantile (sia come testi che come disegni) quella di Squirrel-girl confezionata da Maria Scrivan.

Decisamente più matura, sia come testi che come disegni, la storia degli Occhi di Falco realizzata da Ben Hatke. I due sventano un traffico illegale di animali pontificando sulle potenzialità di arco e frecce.

George O’Connor mostra un esempio del peculiare rapporto tra Thor e Loki, dalla prospettiva del secondo. La storia è molto ironica ma ha anche una trama dignitosa, anche i disegni (validi pur non essendo realistici) non lasciano intendere che sia indirizzata necessariamente a un pubblico infantile.

Originale la storiellina di C. G. Esperanza: Miles Morales racconta i suoi exploit (non so se in continuity o meno) relazionandoli alle sue amate sneaker. Disegni fintamente pittorici e probabilmente con un occhio alla graffiti art: a volte sin troppo deformi, però un loro fascino ce l’hanno.

Decisamente infantile è invece il lavoro di Lincoln Peirce (colorato da Tom Racine), con il rapido scontro di Namor contro Capitan Barracuda (parte della cosmologia Marvel o creato alla bisogna?) che ha inquinato il mare con dei naniti simili a uno sversamento di petrolio. Ai testi rapidi e scontati fanno pendant dei disegni cartooneschi per nulla gradevoli.

Sam Wilson nei panni di Capitan America è protagonista di una facezia di Michael Lee Harris che non si può nemmeno definire una storia, quanto più che altro una breve presentazione umoristica del personaggio. Disegnata rozzamente con uno stile che immagino voleva essere cartoonesco.

John Gallagher si pone sulla stessa lunghezza d’onda di Lincoln Peirce e produce un rapido scontro tra Iron-man e il Laser Vivente ma con una trama un pochino più articolata e densa; disegni assai bruttarelli – e pensare che le prime tavole lasciavano intravedere uno stile alla Mike Allred.

La storia di Shang-Chi confezionata da Gale Galligan si è rivelata un po’ ostica. Non che la rapida risoluzione dello scontro non mi sia stata chiara, ma viene citato un sacco di pregresso che non conosco. Disegni tra manga e O’Malley urticanti per le mie pupille.

Molto gradevole la storia di Chris Giarrusso con protagonista Hulk. Una vicenda umoristica (disegnata di conseguenza) con delle simpatiche trovate e bei dialoghi – e forse qualche frecciatina all’ottusità dei militari. Bruce Banner non si fida dei computer per conservare i suoi progetti e il Leader approfitta della sua trasformazione in Hulk per rubare l’arma segreta di cui il generale Ross ha strappato gli appunti cartacei.

Mike Curato riesuma un personaggio che non pensavo esistesse nemmeno più: Wiccan, il figlio mago di Scarlet Witch. Vorrebbe preparare una torta di compleanno per il marito Hulkling senza ricorrere agli incantesimi ma le sue scarse doti culinarie e un’emergenza supereroistica gli rovinano i piani. Un testo schematico e prevedibile che scorre senza entusiasmo, dei disegni agghiaccianti che probabilmente sono degli schizzi veloci fatti a matita e poi pasticciati in digitale.

Priya Huq si occupa invece di Miss Marvel. La “trama” della sua storia è la solita rimasticatura adolescenziale sull’accettazione di sé con la protagonista depressa per un commento su internet, i disegni sono molto rozzi e approssimativi. Devo dire però che il ricorso a tecniche analogiche, o che fingono bene di esserlo, fa risaltare questa sciocchezzuola rispetto al digitalismo imperante nel resto del volumetto.

Jessi Zabarsky riprende per l’ennesima volta il canovaccio per cui Spider-Gwen è in ritardo alle prove a causa di un supercattivo. C’è un minimo twist finale con le ragazze della band che picchiano il villain, ma la storia è molto banale e probabilmente pensata per un pubblico infantile – i disegni assecondano questa ipotesi.

Si finisce in bruttezza con una storia di Devil di John Jennings. Caduto sotto gli effetti di una bomba di paura che Mister Fear ha piazzato in un centro di sostegno per giovani di colore, il protagonista ritrova il suo coraggio concentrandosi sulle acclamazioni dei bambini. Eh, sì: è proprio tutto qui. Dall’introduzione si evince che Jennings è un professore, mi pare evidente che debba concentrarsi sul professare piuttosto che sul disegno (per quanto sforzo ci abbia messo).

Francamente non so come giudicare questa raccolta. O meglio, anche se il parere complessivo non è certo positivo, non so come inserirla nella produzione generale Marvel. Al pari de Il Viaggio del Super Eroe anche questo lavoro è frutto di un’esternalizzazione da parte della Marvel e in origine lo ha pubblicato la Amulet Books. Reale tentativo di offrire degli sguardi originali su personaggi iconici o semplici storielle per bambini in modo da avvicinarli ai “veri” comic book? Tra buoni sentimenti ed engagement a un tanto al chilo si potrebbe propendere per la seconda ipotesi, ma qualche rara punta di godibile originalità (o almeno di buon mestiere) c’è.

mercoledì 14 agosto 2024

Batman/Deathblow

Da quanto apprendo da internet, Deathblow sarebbe stato un tentativo da parte del già tamarrissimo Jim Lee di nobilitare la sua opera con influssi di… Frank Miller! Roba da scriverci monologhi comici per Zelig, ma hai visto mai che Azzarello riesce a salvare pure una roba del genere? Con Batman di mezzo, poi, potrebbe non essere tanto difficile. E infatti ce la fa.

Due linee temporali si intrecciano. Dieci anni prima della storia portante Deathblow, un soldato gigantesco impegnato in operazioni governative segrete, è a caccia di un uomo nella Chinatown di Gotham City. Nel presente Bruce Wayne perde un amico a causa di una combustione inspiegabile: la vittima è lo stesso agente che anni prima coordinava il Deathblow, titolo che identifica un agente preposto a operazioni speciali. Nel mentre viene rinvenuta una mano mozzata e affiora anche un “biglietto da visita” che identifica proprio Deathblow.

Anche se c’è di mezzo un pirocineta, bersaglio ma a sua volta anche cacciatore, questa miniserie ha poco di supereroistico. Azzarello scava negli affari sporchi delle agenzie di spionaggio e controspionaggio tra finte piste, doppi giochi e pedine usate e gettate via senza troppe cerimonie. L’alternanza dei piani temporali rende incalzante il ritmo e il fatto che Deathblow sia ufficialmente morto dona un bel tocco di originalità a questo cross-over in cui i protagonisti titolari non si incontrano mai (cosa che però fece anche Warren Ellis con Authority e Planetary). Un paio di colpi di scena ben assestati sul finale rendono la storia ancora più originale e riuscita. Ottimi i dialoghi, anche se Azzarello ha giustamente preferito ogni tanto lasciar “parlare” i disegni, con tavole mute dove Bermejo ha potuto esprimersi al top. Mi resta un dubbio: se effettivamente Deathblow è morto e Batman ne assume il ruolo alla fine, da dove era spuntato il suo “biglietto da visita” all’inizio?

Forse una conoscenza meno superficiale della mia degli universi DC e WildStorm avrebbe reso la fruizione ancora più piacevole, ma già così la storia è una bella lettura.

Com’era lecito aspettarsi, i disegni di Lee Bermejo sono molto buoni. Occhio, però: molto buoni e non ottimi perché tende a disegnare i personaggi con dei mascelloni, in particolare proprio Bruce Wayne, e contorni e dettagli hanno sempre una certa impronta squadrata, quasi geometrica. Ma forse parte della responsabilità ce l’hanno i vari inchiostratori che lo hanno supportato: Tim Bradstreet, Peter Guzman, Richard Friend e Mick Gray. In ogni caso i panorami urbani, le scene di massa, i particolari di mezzi ed edifici rimangono spettacolari.

Molto buono anche il lavoro del colorista Grant Goleash, a sua volta aiutato da José Villarubia, che restituisce una coerente atmosfera noir pur se anche lui a volte usa delle campiture geometriche.

lunedì 12 agosto 2024

Vengono fuori dai blog, vengono fuori dai fottuti blog

Delle miniserie misconosciute di Wood, intendo. Come questa Muchacha Sueca disegnata da Vogt. Ricostruire la bibliografia di Wood è praticamente impossibile, tra personaggi misconosciuti, remake di alcune serie e personaggi che nacquero come seriali ma si esaurirono in un solo episodio o poco più.

E meno male che ci sono i fottuti blog.

domenica 11 agosto 2024

Martian Manhunter: Segreti Americani

Mi ha sempre incuriosito l’altro vincitore di quel sondaggio che fece la DC decenni fa per decidere a quale personaggio secondario dedicare una miniserie. Alla fine mi sono tolto la curiosità.

La vicenda comincia in medias res con l’assassinio di un beatnik che spira tra le braccia del protagonista dopo aver pronunciato frasi apparentemente senza senso – beh, è un beatnik. La storia è ambientata alla fine degli anni ’50, quando il Sogno Americano comincia a incrinarsi e già questo è uno spunto interessante. Nella sua identità civile (detective della polizia di Denver) il marziano J’onn J’onzz si trova a New York per una convention dell’Arma. Qui assiste a fenomeni inquietanti e addirittura mortali che riguardano quiz televisivi, telefilm, il business dei joke box e altri capisaldi americani dell’epoca, tra cui anche i fumetti. Pare ci sia un complotto ordito da lucertole aliene, ma alcune persone dalla sensibilità molto sviluppata, come appunto i beatnik, possono vedere oltre il velo che nasconde le loro vere sembianze. Gerard Jones riesce a creare un palpabile senso di paranoia, facendo dubitare il lettore di quello che effettivamente sta succedendo. Ok, c’era già stato Essi Vivono di John Carpenter ma l’idea resta comunque valida e molto ben condotta.

E così il “detective” John Jones scappa da New York insieme a un giovane idolo canterino e a una attrice bambina vittima di abusi, per finire in una cittadina residenziale troppo perfettamente aderente al Sogno Americano per non destare qualche sospetto. Di nuovo in fuga, il marziano J’onn J’onzz (praticamente un Superman verde mutaforma la cui kryptonite è il fuoco, e può anche diventare invisibile) mette insieme tutti gli indizi sparsi per la vicenda e si dirige a Cuba prossima alla rivoluzione dove in una località segretissima verranno sciolti tutti i nodi.

Il bersaglio principale di Segreti Americani mi è sembrato inizialmente il Maccartismo (che viene citato esplicitamente) ma in realtà propone uno sguardo disincantato più generalizzato sul capitalismo e l’American Way of Life. Anche l’industria dei supereroi non ne esce proprio benissimo (anzi) e persino i personaggi stessi dei comic book si rivelano pedine del piano generale, per quanto suscettibili di redenzione finale una volta che il protagonista arriva a capo del mistero e risolve la situazione – immagino che la rappresentazione del Dr. Midnight esuli dal canone della DC Comics. Nonostante certe concessioni finali al sensazionalismo tipico del genere supereroistico (anche se la storia inizialmente oscillava tra noir e fantascienza) Segreti Americani si legge con piacere e presenta situazioni anche molto drammatiche che nel 1992 nobilitavano un fumetto e che oggi probabilmente non sarebbero proponibili. E il tutto reso con un protagonista piuttosto ridicolo, che però proprio in virtù della sua stranezza (un Superman verde la cui kryptonite è il fuoco, oltretutto con una dipendenza da una marca di biscotti!) risulta ancora più “alieno” agli Stati Uniti, concetto più volte ribadito da Jones anche in riferimento ad altre figure non allineate col sistema che compaiono nel fumetto.

Alle matite (e chine) Eduardo Barreto, un disegnatore argentino che tra le altre cose disegnò anche parte del Kayan di Robin Wood. Non è che sia proprio un mostro di bravura e sul finale perde ulteriormente colpi probabilmente a causa delle scadenze pressanti, infatti in calce all’ultima tavola firma insieme a un «G. Fernandez» che probabilmente gli avrà fatto da assistente. Tra primi piani a volte un po’ sballati, anatomie ipertrofiche e disegni privi di troppi fronzoli, diciamo che almeno è riuscito a rappresentare con una certa efficacia il contesto degli anni ’50. Menzione speciale per il colorista, il mitico Steve Oliff, che ha fatto un ottimo lavoro in un’epoca in cui i retini tipografici erano ancora la norma.

giovedì 8 agosto 2024

Spider-Gwen: Spacca!

Ignoro i motivi che mi hanno spinto finora a leggere le storie di Spider-Gwen o Ghost-Spider o come diavolo si chiama, ma questo ciclo potrebbe finalmente farmi desistere dal continuare. Non tanto per i testi che non sono malaccio, quanto per i disegni atroci.

Gwen parte in tour con la Mary Janes che faranno da apertura ai concerti di Dazzler (ovviamente il cast della sua band è un florilegio di personaggi Marvel trasfigurati in questa Terra-65). La vera ragione del suo ingaggio non è però la sua capacità come batterista, o almeno non solo quella: l’identità segreta di Spider-Gwen è nota e visto che Dazzler ha subito le attenzioni di uno stalker che le ha rapito una sorella e una componente della band fungerà da esca per il malintenzionato, che infatti già al primo concerto le manda contro un Hulk.

Dopo qualche rapimento (e qualche apparizione di nuove versioni di personaggi Marvel) si scopre l’identità del manigoldo, personaggio-chiave del mondo canonico Marvel qui simpaticamente reso come uno scienziato pazzo che adora Dazzler perché con le sue canzoni gli ha dato lo stimolo a continuare le sue ricerche su mutanti e affini. Inevitabilmente si finisce con un bel po’ di mazzate (ma principalmente tra Spider-Gwen e la sua amica “Em Jay” diventata Carnage) però la risoluzione della storia con la comparsa di un personaggio speculare a quello classico è molto originale. Sarebbe lodevole anche il retrogusto amaro del finale della miniserie di quattro, se non fosse che la trama si conclude in uno speciale dai toni decisamente più leggeri, quasi umoristici, che se ho ben capito funge da apripista per l’arrivo dei Sinistri Sei di questo universo. Per giustificare il titolo di “Giant-Size” Spider-Gwen l’albo originale contiene anche la ristampa di una vecchia storia a opera di Jason Latour e Robbi Rodriguez, di difficile comprensione per chi non fosse già pratico con la serie.

Ora, non è che tutto fili proprio liscio nella storia: ad esempio non capisco come faccia Dazzler a creare costrutti materici se il suo potere dovrebbe essere quello di trasformare i suoni in luce. I flashforward possono confondere il lettore. Carnage che prende possesso di Mary Jane è frutto dell’esposizione ai raggi gamma come detto a un certo punto oppure il simbionte è sempre stato dentro di lei come riportato altrove? Em Jay ha una cotta per la protagonista o sono io ad aver frainteso certi dialoghi?

Però nella maggior parte dei casi si tratta di questioni che per un habitué della serie probabilmente non costituiscono alcun problema, perché sono state già sviscerate in altri episodi. Per contro, Melissa Flores imbastisce una trama che tutto sommato si regge in piedi, azzecca un paio di dialoghi divertenti e soprattutto piazza dei bei colpi di scena. Confesso che l’identità del primo Hulk è stata una sorpresa per me, nonostante non mancassero gli indizi, e la trasformazione finale del “cattivo” giocata sul ribaltamento degli stereotipi è stata una maniera ancora più originale ed elegante di risolvere la situazione. La Flores manco ci mostra lo scontro tra di lui e le eroine che lo combattono, quasi a ostentare di non voler “timbrare il cartellino” degli stereotipi del genere.

Purtroppo però digerire i disegni di Enid Balám (inchiostrata da Elisabetta D’Amico) è difficile. Non saprei dire se con la sua deformità spigolosa e indecisa è peggio o meglio di Humberto Ramos, che almeno è coerente con il suo stile. E gli effetti con cui cerca di rendere il movimento delle bacchette di Gwen sono tremendi. La cosa incredibile è che Alba Glez del Giant-Size (sempre inchiostrata da Elisabetta D’Amico) è riuscita addirittura a fare peggio!

Come al solito, le cover di David Nakayama ritraggono la protagonista come una pin-up invece che come l’adolescente che è. La copertina dello speciale è invece opera nientemeno che di Bryan Hitch, e rispetto ai suoi ultimi lavori non è affatto male. Bella consolazione.

martedì 6 agosto 2024

Fumettisti d'invenzione! - 192

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.

In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

FUMETTI BIOGRAFICI (pag. 63)

LA VERITABLE HISTOIRE DE FUTUROPOLIS

(Francia 2007, © Cestac/Dargaud, memoriale)

Florence Cestac

L’autrice ripercorre la storia della casa editrice di cui fu tra i fondatori nel 1974 dopo che due anni prima aveva partecipato all’apertura della libreria specializzata con lo stesso nome. Sfilano quindi gli episodi più divertenti che riguardano una moltitudine di fumettisti che lavorarono per Futuropolis, almeno sino a quando Florence Cestac si allontanò dalla casa editrice.

Curiosamente, il volume è stato pubblicato da Dargaud e non dalla stessa casa editrice che celebra.

[NARRATIVA] CARTOONIST COME PROTAGONISTA (pag. 71)

UNE BELLE VIE (UNA VITA BELLA)

(Francia 2023, Flammarion, drammatico)

Virginie Grimaldi

Le sorelle Delorme trascorrono una settimana insieme nella casa dei nonni, dove crebbero lontane da una situazione famigliare problematica, prima che venga venduta. Nell’alternarsi dei diversi piani temporali vengono alla luce il loro passato difficile e il motivo dell’allontanamento tra le due.

La minore, Agathe, che soffre di sindrome bipolare, ha anche tentato la strada della fumettista.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

METAFUMETTI E AUTOREFERENZIALITA’ (pag. 64)

SALOMÓN

(Cuba 1961, in Revolución, © ?, surreale)

Chago [Santiago Armada]

Poetica striscia umoristica con protagonista un omino con un cappello da giullare che si pone questioni filosofiche o si relaziona con gli elementi del mondo circostante, concedendosi spesso divagazioni metafumettistiche.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

SENZA TITOLO

(Italia 1981, in Il Male, © Eredi Pazienza, finta lezione di disegno)

Andrea Pazienza

In questo “tutorial” Pazienza mostra il metodo per disegnare un suo personaggio tipico, che trae molte soddisfazioni dal lavoro.

domenica 4 agosto 2024

Dylan Dog Color Fest 50: Groucho (fuori di) sesto

Raccolta di tre episodi con protagonista Groucho: i primi sono ristampe di due albetti allegati agli speciali estivi, il terzo è uno di quelli del Grouchonomicon.

La cosa misteriosa che vive dietro il frigorifero sarebbe tratto da un episodio reale: la gatta di Sclavi si era messa a fissare lo spazio tra frigorifero e parete. Proprio su un caso analogo Groucho viene incaricato di indagare mentre nella Londra prossima alle elezioni si verifica lo strano fenomeno di un piccione parlante che vuole incontrare il Primo Ministro uscente.

Pur se le mattane di Groucho si prendono lo spazio dovuto, la storia ha una trama abbastanza articolata e un finale che dona un senso a tutto. Sclavi ci andava giù pesantissimo coi politici.

Anche se in incognito per la vergogna di confezionare una storia così strampalata, Horrorpoppin’ è opera degli stessi autori, Sclavi e Piccatto. Esperimento metanarrativo senza capo né coda (o meglio con troppi capi e troppe code), è ovviamente un omaggio dichiarato a Hellzapoppin’ ma non mancano altre citazioni tra cui la più evidente è quella a Little Annie Fanny di Harvey Kurtzman che qui diventa la fidanzata di Groucho. Come specifica Sclavi (il rimpallo tra personaggi e autori è costante, roba da Fumettisti d’invenzione) lui non copia: cita.

A seconda dell’umore del momento, una storia da leggersi tutta d’un fiato o a piccolissime dosi.

I due vecchi allegati sono stati colorati appositamente da Erika Bendazzoli: un lavoro più che dignitoso, ma non mi pare così «magnifico» come detto da Barbara Baraldi nell’editoriale, visto che ha dovuto/voluto colorare anche qualche china di Piccatto e certi effetti digitali (l’alone di un televisore, gli effetti di uno sparo, ecc.) mi sono sembrati dei corpi estranei.

Luigi Piccatto gestiva benissimo sia il registro realistico che quello caricaturale. E chissà quante prove e disegni dal vero avrà fatto per rendere al meglio il gatto.

Lo stacco temporale e stilistico tra le prime due storie e la terza, Una scatola di polvere, è nettissimo. Non solo perché compaiono aggeggi elettronici vari e degli ambienti più moderni, ma soprattutto per una narrazione più asciutta e gestita in maniera più manifestamente razionale (bella forza, rispetto a Horrorpoppin’, ma comunque si avverte l’urgenza di creare una vicenda in cui tout se tient, magari anche ricorrendo ai dialoghi per chiarire certi passaggi). Mi verrebbe da dire che si avverte anche un sottotesto malinconico, ma quello c’era già anche nella prima storia.

Stavolta Groucho deve sfrattare un fantasma invadente che però infesta la casa sbagliata a causa di uno scambio nelle urne cinerarie che scaraventerà i due in una vicenda necrofora/criminosa. Mi pare che il soggetto ideato da Francesco Artibani sia simpatico e originale, i disegni sono di Cavazzano e quindi ottimi. I colori, anch’essi validissimi, sono opera di Alessia Nocera.

giovedì 1 agosto 2024

“È ufficiale”


Questo avrebbe dovuto essere il titolo di un post che programmavo di caricare in questi giorni. Il corpo del messaggio sarebbe stato “sono vecchio” e ad accompagnarlo una foto degli occhiali da lettura che ho dovuto comprare. Per una presbiopia che si manifesta però solo quando indosso occhiali o lenti a contatto per correggere la miopia, come mi sarei industriato di indicare in un’Etichetta apposita.

Solo che stamattina la mia macchina fotografica non funzionava più (mi segnalava l’obiettivo otturato ma comunque non c’era verso di farla partire). Approfittando di un momento libero tra altri impegni sono andato a comprarne un’altra nel primissimo pomeriggio con la baldanza di chi aveva già estratto la memory card e avrebbe chiesto il modello più economico. Solo che la commessa dell’Unieuro mi ha indicato un campionario ridottissimo di macchine fotografiche digitali che simulano nella forma quelle vecchie analogiche e non costano meno di 500 euro. Ci sono rimasto di sasso, quando presi quella attuale (una Kodak PixPro FZ53, per la cronaca) i negozi pullulavano di macchine di tipologie e costi diversi. Forse dovevo specificare che volevo una “fotocamera digitale” e non una macchina fotografica?

Poi però ci ho riflettuto sopra un momento e sono arrivato alla conclusione che oggidì una fotocamera come la mia non ha più senso di esistere, perché gli smartphone ne hanno una già integrata. Eh, già, quei benedetti smartphone senza cui non si può usare lo SPID. Appena possibile comincerò a battere per bene i negozi, magari salta fuori qualche fondo di magazzino.

E comunque anche questa è una conferma del concetto che avrei espresso nel mancato post.