mercoledì 9 novembre 2022

Intervista a Lee Bermejo

Mi scusi se comincio con una domanda stupida, ma per caso Lei è parente di Luis Bermejo?

No, non sono suo figlio. Io sono californiano, lui se non sbaglio era di origine filippina.

Sì, credo facesse parte del gruppo di Alex Niño, Afredo Alcala, ecc.

Quali sono stati i Suoi esordi?

A diciannove anni andai nello studio di Jim Lee, la WildStorm. È stato un periodo molto bello ma ovviamente a quell’età si lavora con dei ritmi da giovani. Mi svegliavo tardi e il lavoro cominciava solo nel pomeriggio per poi finire a notte fonda. Ovviamente eravamo ragazzi e si perdeva tempo cazzeggiando. Alla fine non è che si producesse poi molto, adesso non potrei più lavorare in quella maniera.

Adesso quali sono i Suoi ritmi di lavoro?

Sono molto metodico nel lavoro, non potrei più fare come agli esordi. Mi metto al tavolo da disegno presto la mattina e faccio degli orari quasi da impiegato. Una singola tavola mi impegna per tre o quattro giorni di lavoro: ogni progetto a fumetti mi impegna per due o tre anni di vita reale.

Forse sbaglio ma mi sembra che il Suo stile si discosti molto da quello classico statunitense dei comic book. Quali sono gli autori da cui si sente influenzato, se ce ne sono?

Tra i miei autori preferiti ci sono Tanino Liberatore, Richard Corben, Jorge Zaffino, Taksuyuki Tanaka ma anche pittori e fotografi.


Sempre parlando di stile, come realizza le sue tipiche tavole con quei grigi “pastosi”?

Con le matite o a mezzatinta, cioè diluendo l’inchiostro. Però ormai lavoro sempre meno con gli strumenti classici, faccio quasi tutto con il computer. Damned, ad esempio, l’ho cominciato in “analogico” e poi sono passato al digitale in corso d’opera. Ogni volta che faccio un fumetto voglio fare qualcosa di più, ho cominciato a inchiostrarmi da solo e poi anche a colorare le copertine per avere controllo totale sul lavoro.

A proposito di Damned, mi sembra che Batman sia un personaggio molto congegnale al Suo stile, c’è qualche altro personaggio che Le piacerebbe interpretare con le sue atmosfere dark?

Batman è un personaggio molto aperto alle interpretazioni, anche per questo ha tanto successo. Per fare un esempio, la mia interpretazione di Spiderman sarebbe troppo cupa, per me Peter Parker è un nerd, ma nel senso che è un tizio strano. E poi il mio stile è molto realistico, disegnerei ogni dettaglio, da bambino non mi piaceva che non si vedessero i lancia-ragnatela del costume nei disegni!

C’è un lavoro di cui è particolarmente fiero?

La mia cosa di cui sono più fiero è Suiciders, un fumetto di cui ho anche scritto i testi. Purtroppo non è stato un successo anche perché a un certo punto ho dovuto limitarmi a scrivere i testi e passare i disegni a un altro, a posteriori capisco che è stato un errore non disegnarlo tutto io come avrei dovuto. E poi il tono era molto cupo e anche questo può aver influito sulla sua accoglienza: Jim Lee diceva che c’era troppa tragedia per troppi lettori.

Con il recente interesse di Hollywood per i fumetti potrebbe diventare il soggetto per un film.

Francamente non vorrei vedere altre interpretazioni dei miei personaggi. Io comunque ho anche lavorato per il cinema, recentemente. Ho collaborato con Zack Snyder per il suo prossimo film, Rebel Moon, che avrebbe dovuto essere uno spin-off di Star Wars ma poi ha preso una direzione autonoma.

Ed è stata una bella esperienza?

Sinceramente preferisco fare fumetti, perché nel mondo del cinema ci sono un sacco di persone che devono decidere e dare l’ok a un progetto e a come realizzarlo. In quel contesto mi sono sentito come una semplice rotella dell’ingranaggio. Nel fumetto invece c’è molta più libertà. Come dicevo prima, ho cominciato a inchiostrarmi da solo e poi a fare anche i colori proprio per avere più controllo possibile sul lavoro.

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