Grazie ai recuperi fortunati di Lucca ho finalmente messo le mani sui due numeri di Asso di Picche di Ivaldi del 1969. Ancora oggi una testata deve attendere almeno un paio di mesi per capire se è stata un flop, quindi sicuramente ci sono stati dei motivi contingenti per il naufragio del progetto (mi pare che Ivaldi lamentasse un trattamento sfavorevole da parte della distribuzione) ma forse il guazzabuglio che fu il secondo numero può aver allontanato alcuni lettori, o forse fu una testimonianza della difficoltà con i licenziatari: addirittura il sommario presenta dei fumetti che non ci sono, sostituiti da altri che l’editoriale si premura frettolosamente di presentare.
Nel primo numero aveva esordito Sherlock Time, iniziava un episodio di Randall e c’erano delle tavole umoristiche (pubblicate a casaccio ma amen). Nel secondo transitano solo Ernie Pike (con un episodio bellissimo, peraltro), L’Asso di Picche (interessante dal punto di vista dell’archeologia fumettistica ma non per la qualità di testi e disegni ancora acerbi) e Precinto 56 (ma la storia non si conclude!). Il resto delle 64 pagine della testata è occupato da un Robin Hood che comincia in medias res a firma George Summer (cioè Giorgio Bellavitis), così a occhio debitore di Hal Foster e con un lettering a volte difficile da leggere, e dalle 24 tavole di Lo Spettro e Rich Rooney, una storia anche simpatica (pur se Mario Leone sembrava inventarsi il copione di tavola in tavola, come comunque facevano tanti altri) ma con un disegno che tra gli epigoni di Milton Caniff si pone tra quelli meno riusciti. Tutto materiale ripescato dai vecchi Albi Uragano e quindi con una sua logica all’interno di una rivista intitolata all’Asso di Picche, ma se visto negli anni ’60 dubito che avrebbe garantito la sopravvivenza della testata (pur se a determinarne la chiusura prematura furono sicuramente altri motivi).
Nessun commento:
Posta un commento