Il colore delle cose è una storia avvincente e divertente, pervasa da una sottile ironia e raccontata con un’inventiva che mi ha ricordato vagamente Terry Pratchett. Il problema è che si tratterebbe di un “fumetto” ma le tavole consistono quasi esclusivamente di planimetrie viste dall’alto e i personaggi sono pallini colorati. Sulle prime il gioco suscita un po’ di curiosità, dopo 224 pagine inevitabilmente stufa. Se il lettore è libero di immaginarsi i personaggi come meglio crede, non sempre è facile seguire il filo di chi dice cosa e le possibilità offerte dall’anonimato grafico dei personaggi non sono giocate bene come invece fece Shane Simmons in Longshot Comics. Ci sono poi altri elementi che a me sono sembrati dei piccoli difetti, ma che magari per altri lettori non sono rilevanti: il Macguffin della pistola non mi pare molto realistico, verso la fine c’è un’accelerazione che fa sembrare che persino Panchaud volesse finire il prima possibile, il finale drammatico non è univocamente interpretabile: vuole aggiungere una punta di amarezza o rappresenta una liberazione? Comunque lo scoglio più grande rimangono i disegni, che in Francia hanno sollevato anche qualche polemica: Martin Panchaud ha infatti vinto il Grand Prix di Angoulême che è sempre stato interdetto agli sceneggiatori con la giustificazione che non sanno disegnare. Solo che nemmeno lui tecnicamente sa farlo, perché ha realizzato tutto col computer (i dettagli qui). Ma davanti a un venduto di 50.000 copie non si può rimanere indifferenti.
Al di là di queste considerazioni teoriche, si nota comunque come l’aspetto grafico sia poco o nulla influente sulla narrazione (risse e inseguimenti vanno comunque “decrittati”) e Il colore delle cose potrebbe benissimo essere letto come un testo teatrale. Come Longshot Comics, insomma, solo che Simmons seppe usare astutamente la grammatica minima del fumetto.
I prossimi anni ci diranno se rimarrà una bizzarria o aprirà le porte a un nuovo modo di fare letteratura disegnata (ché chiamarlo fumetto mi sembra un po’ arrischiato).
Non ha vinto il Grand Prix, che è un premio alla carriera (e, con l’eccezione di Jacques Lob, è sempre stato effettivamente assegnato a disegnatori), ma il Fauve d'Or, che è un premio all'albo.
RispondiEliminaForse su CaseMate facevano un discorso generale. Il concetto non cambia, magari correggo su Fucine Mute.
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