lunedì 25 novembre 2024

La fine di un'epoca (forse, ma penso proprio di sì)

Per un abitudinario come me è difficile rinunciare ai piccoli riti quotidiani. O settimanali, o mensili, o (come in questo caso) quando riescono a farla uscire. Era da tempo che mi chiedevo perché mai continuavo a comprare Fumo di China. Sarebbero 32 pagine, ma è un autocopertinato e quindi quelle effettive sono 28 – fatte salve le occasionali presenze della posta e delle strisce in seconda e terza di copertina. Per incentivarmi a desistere ho contato gli spazi pubblicitari, che si pappano anche sette pagine per numero. E poi ci sono le 4-pagine-4 del mangagiornale, di cui non può fregarmene di meno e che oltretutto è quasi sempre scritto nella sua interezza dal terribile Mario A. Rumor.

Anticipazioni e segnalazioni varie non hanno più molto senso in un mondo iperconnesso in cui si è bombardati da news in tempo reale. Le recensioni si occupano principalmente di prodotti di difficile reperibilità (e questo è un bene se si tratta di materiale interessante) ma per il resto quasi solo manga, manga e ancora manga, dove Mario A. Rumor continua a deliziarci con le sue supercazzole.

I reportage dai festival dei cartoni animati, quando ci sono, per me sono carta sprecata.

Le interviste di Enrico Zoi a vip vari possono anche essere interessanti (qualche volta), ma dovrebbero essere il contorno di un piatto ben più consistente. E qui purtroppo arriviamo al maggiore punctum dolens. Ancora oggi mi rileggo le ricchissime interviste degli anni ’80 e ’90 e primi 2000 a Silver, Giardino, Cavazzano, Magnus, Juillard, Darrow, agli autori argentini… Degli ultimi anni ricordo solo che è stata fatta un’intervista a Taymans. E d’altra parte se prendo un numero a caso degli ultimi vent’anni mi sembra che Fumo di China testimoniasse un mondo alternativo dove autori arrembanti avrebbero dovuto conquistare il settore. Ma nel nostro, di mondo, chissà che fine hanno fatto. Ancora oggi per me molti dei fumettisti presentati sono degli illustri sconosciuti, il che andrebbe benissimo a livello di divulgazione per avvicinarmi a opere che altrimenti non avrei conosciuto, solo che a vedere le loro prove grafiche e a leggere i loro soggetti non mi viene affatto voglia di approfondirne la conoscenza.

Chiaramente Fumo di China non ha colpa di questa situazione: registra semplicemente quello che offre oggigiorno il mercato.

Ma lasciamo da parte le questioni contenutistiche: esistono anche delle complicazioni di ordine pratico. Cioè se infilo ancora qualche numero mi scoppia l’armadio:

Ecco, da anni mi ripetevo tutto questo e poi puntualmente compravo l’ultimo numero. A quanto pare gli eventi hanno preso il sopravvento e deciso per me. L’unica edicola in cui la trovavo chiude (l’articolo è di ieri).

Venendo dal quotidiano Il Piccolo altresì noto in zona come «il bugiardello» ci sono passato stamattina per sincerarmene ed è vero. Quindi da ora in poi non scherzerò più col buon Daniele sul fatto che metteva Fumo di China sullo scaffale più alto per impedirmi di prenderla. Ordinarla in fumetteria? Sì, e poi come succede in quel di Certaldo (così mi dicono) le copie arrivano al ritmo di due per volta rendendo ancora più obsoleto il numero più vecchio. Abbonamenti postali? Sto ancora aspettando il premio per aver risolto il concorsino su Black/Blake & Mortimer, e lo Speciale Argentina che avevo regolarmente bonificato ho dovuto richiederlo un paio di volte perché si perdeva sempre per strada!

Unico ripianto: le strisce del grande Luca Salvagno, ma chissà che non vengano raccolte da qualche altra parte.

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